Chiara Balista, medico chirurgo, psichiatra-psicoterapeuta P.IVA: 03060921206


A r t i c o l i ...
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 

 

Nota Informativa

E' mia intenzione fare solo un breve accenno ai principali disturbi emotivi di più frequente riscontro nella pratica clinica, privilegiando la descrizione della sintomatologia ad essi correlati. Mi scuso nel contempo per la sintesi e la volontà, per il momento, di trascurare la descrizione delle possibili cause, del  decorso clinico e degli specifici trattamenti, in quanto questi richiederebbero una trattazione molto più lunga e dettagliata.


Tutti gli articoli presenti in questo sito sono stati liberamente redatti e curati dalla sottoscritta, attingendo dalla mia formazione professionale, da accreditate fonti scientifiche e dalla esperienza clinica che ho accumulato in anni di lavoro. Tale materiale, tuttavia, è da considerarsi  solo come una semplice fonte divulgativa, non essendoci alcuna intenzione di fare diagnosi “a distanza”. Questi capitoli non possono quindi sostituirsi in alcun modo a diagnosi direttamente formulate tramite colloquio clinico in sede ambulatoriale.

I messaggi informativi esposti in questo sito sono stati trasmessi nel rispetto delle linee guida inerenti l'applicazione degli articoli 55-56-57 del Codice di Deontologia Medica.


Psico-Pregiudizi

“E' più facile spezzare un atomo che un pregiudizio …”
(Albert Einstein)

Indice dei pregiudizi trattati:

 PREGIUDIZIO 1: “Basta la buona volontà per superare la depressione”

Da tempo, nella nostra cultura, il disagio emotivo, in particolare il disturbo  depressivo,  è visto solo come una sorta di “debolezza di carattere”, che ha a che vedere con un problema di volontà, a cui non viene data mai una reale giustificazione …
Nel pensiero comune, vigono tanti concetti, anzi pre-concetti, tra cui quello che contrappone la persona cosiddetta “forte” con quella “vulnerabile” che si ammala di depressione, per esempio (come se una persona forte non potesse mai in alcuni casi permettersi un po' di  patimento) e la convinzione che basti operare un  certo autocontrollo sulla propria sofferenza e quindi sulla psiche in genere per poter star meglio...

Ecco, infatti, il pensiero che a volte si annida, almeno in parte, dentro l'animo umano: 

“Ogni individuo (il “buon cittadino”) dovrebbe funzionare bene, sempre e comunque, a dispetto di ogni cosa, in casa come nel lavoro (ecco, magari in caso di lutto, basta concedersi quell'ora di funerale …) e se è sposato, ha un discreto stipendio e un'auto sfavillante, di che cosa si dovrebbe lamentare? Faccia tacere le sue sofferenze e continui a rigare dritto, si sforzi di essere più felice e vedrà che tutto il mal di vivere gli passerà …”.

Nel mondo occidentale esiste per davvero questo genere di “pressione”, interna ed esterna, a scotomizzare il dolore psichico, in nome magari di una performance sociale da tenere sempre alta comunque. E quando, per esempio, ci sentiamo depressi e la nostra depressione trapela anche agli altri, può accadere di sentirci pure dire, generalmente da un familiare stretto, queste parole veramente: “Devi reagire!”

Quante volte dentro di noi, anche quando ci sentiamo giù,  ci diciamo che non abbiamo niente, che non dobbiamo avere niente (come l'aria, la depressione non si vede, eppure esistono entrambe). Diciamo a noi stessi che dobbiamo reagire, quando invece uno dei sintomi  della depressione è proprio quello per cui viene a meno la speranza, la spinta interna e l'energia psicofisica ad agire e a reagire.. Allora finiamo spesso col colpevolizzarci, ci sentiamo sbagliati, “bacati” e ci chiudiamo  in noi stessi senza più chiedere nulla agli altri … E quella specie di bavaglio che ci siamo cuciti sulla bocca e che ci vota a un triste mutismo, spesso arrabbiato, altre solo sconsolato, azzittisce anche il nostro cuore dall'esprimere i suoi reali bisogni.

Quello di cui si avrebbe bisogno in effetti è di sentirci dire dagli altri altre cose, per esempio: “ Ti sono vicino, in che modo  posso aiutarti?” oppure “ Sia che posso fare qualcosa, sia che nulla ti sia utile ora, nel possibile io ci sono, ti voglio bene… spero che presto tu possa stare meglio”. Questi sono solo alcuni dei possibili esempi di parole ma anche di atteggiamenti interiori con cui una persona a noi cara ci può stare accanto, possibili modi che potrebbero risultare giusti o non giusti per noi,  ma che di sicuro  apparirebbero ai nostri occhi per nulla colpevolizzanti, perché privi di quell'intento pedagogico o paternalistico di volerci cambiare, di giudicarci o di dirci che non facciamo abbastanza, che non siamo abbastanza. Già noi, quando siamo depressi, ci giudichiamo severamente, inadeguati, piccoli, non abbastanza …

Ecco che allora avere l'appoggio esterno di un terapeuta potrebbe davvero portare la persona a sentirsi capita, a capirsi a sua volta di più e a ricevere un adeguato trattamento per la sua sofferenza, oltre che un valido supporto anche per la gestione dei propri rapporti familiari. Può capitare, infatti, che in famiglia emergano spesso non solo legittime aspettative o fisiologiche reazioni emotive da parte di chi ci è accanto, ma anche pretese e rimproveri fatti magari in buona fede nei nostri riguardi per molteplici motivi, ma capaci  comunque di risuonare dentro di noi  come se fossero altrettanti, pesanti macigni di colpe da sopportare.
 

 PREGIUDIZIO 2: “Gli psicofarmaci sono dannosi e danno dipendenza!”

I primi psicofarmaci scoperti subito dopo la seconda metà del Novecento si rivelarono particolarmente utili nel trattamento di numerosi disturbi mentali, pur avendo lo svantaggio di associarsi con un'alta frequenza a marcati effetti collaterali di cui soffrivano in primis i pazienti e di cui anche i parenti si rendevano conto immediatamente, guardando i propri cari costretti a movimenti non più liberi, ma rigidi e rallentati, per esempio.

Da qui nacque lo stereotipo che naviga ancora oggi attorno alla figura dello psichiatra, come di un medico che con il suo operato oltre ad occuparsi di “matti”, rende pure ancora più matti, somministrando farmaci capaci di inibire la libera espressione di sé e di ridurre le menti e i corpi altrui ad oggetti rallentati e inanimati.

Tuttavia, negli ultimi anni, oltre ad un approfondimento generale sulle  conoscenze legate ai vari meccanismi d'azione dei farmaci e alla loro  modalità di impiego, si sono verificate importanti scoperte, che hanno portato al successivo utilizzo di nuove molecole, più sicure, rispetto ai vecchi psicofarmaci, e associate a un minor gravità e frequenza di effetti collaterali, i quali, se e quando occorrono, spesso tendono a ridursi e a scomparire con la prosecuzione della terapia, con un aggiustamento delle dosi o semplicemente con la sua sospensione.

Per quanto riguarda il timore della dipendenza dai farmaci, questa è sicuramente una paura ampiamente diffusa, che spesso pregiudica la decisione di iniziare un trattamento adeguato anche quando, invece, potrebbe rivelarsi utile, per esempio, di fronte a una sintomatologia depressiva.  

E' bene sottolineare che, a dispetto delle nostre fantasie e credenze, gli unici farmaci che possono dare dipendenza, se usati male o troppo a lungo, sono le benzodiazepine, mentre gli antidepressivi, i neurolettici e gli stabilizzatori dell'umore non danno MAI dipendenza. 

Gli psicofarmaci, inoltre, costituiscono un semplice utile, possibile strumento terapeutico da utilizzare come “antidolorifico” atto ad attenuare o a far scomparire del tutto determinati sintomi, quando questi, magari particolarmente intensi o comunque “scomodi” (vedi l'insonnia) procurino particolare disagio in alcune aree della propria vita o un certo grado di sofferenza generale. L'effetto “biologico” dato dai farmaci produce a sua volta modificazioni biochimiche necessarie per promuovere una modificazione “psicologica”, quindi anche un miglioramento dei vissuti emotivi della persona (vedi un aumento del tono dell'umore e dell'energia psicofisica nel caso della depressione), e non una modificazione caratteriale o temperamentale.

Infine, un trattamento con farmaci non preclude affatto dall'intraprendere un percorso di psicoterapia quando ci sia bisogno e vi siano le indicazioni. In alcuni casi, infatti, una terapia combinata dà frutti migliori, più solidi e duraturi nel tempo che la sola assunzione di psicofarmaci.
 

  PREGIUDIZIO 3: Lo psichiatra cura i matti!”

Nell'opinione comune spesso vige il pregiudizio che lo psichiatra sia il dottore dei “ matti”, lo psicologo dei “relativamente sani”.

Intanto è bene chiarire chi sono entrambe le figure terapeutiche.

  • Lo PSICHIATRA è un medico – chirurgo, che in seguito alla laurea ha conseguito una specializzazione in psichiatria (durata del corso: 4 anni), branca della medicina che si occupa della prevenzione, della cura e della riabilitazione dei disturbi mentali (disturbi d'ansia, disturbi alimentari, disturbi del tono dell'umore, disturbi psicotici, ma anche difficoltà di adattamento in ambito affettivo o lavorativo, difficoltà emotive connesse a varie patologie psico-organiche, ecc). Un disturbo mentale non è altro che qualsiasi disagio psicologico elencato precedentemente, di cui si può occupare uno psichiatra a prescindere dalla gravità che lo connota, dalla sua insorgenza acuta o progressiva, dal decorso temporaneo o cronico o dal “tipo” di persona in cui si è verificato. Lo psichiatra si avvale del colloquio clinico per effettuare consulenze e valutazioni psicodiagnostiche; per il perseguimento e mantenimento della salute mentale delle persone utilizza  strumenti psicologici, farmacologici e/o sociali.
    Essendo un medico, lo psichiatra può (“può” e non “deve”!) prescrivere, mediante ricetta medica, farmaci generali (antibiotici, ecc) o psicofarmaci e richiedere o esaminare eventuali esami clinici (esami del sangue, risonanze magnetiche, ecc). In molti casi, lo psichiatra può esercitare anche la psicoterapia e questo può avvenire in due modi: conseguendo il titolo di psicoterapeuta tramite un altro corso post-laurea o formulando una  richiesta formale presso il proprio Ordine Provinciale di riferimento per iscriversi nell'apposito elenco di medici- psicoterapeuti.
  • Lo PSICOLOGO è una persona laureata in Psicologia, che può fornire un aiuto alle persone basato su consulenze, valutazioni psico-diagnostiche (anche tramite somministrazione di test) e attività di sostegno. Non essendo un medico, lo psicologo non può prescrivere farmaci.
    Per poter fare psicoterapie lo psicologo deve ottenere una specifica specializzazione post-laurea (durata di 4 anni). Una volta conseguito il titolo di Psicoterapeuta, in base all'indirizzo scelto e al tipo di specializzazione intrapresa, lo psicologo può trattare qualsiasi persona affetta dai disturbi emotivi precedentemente elencati (disturbi ansiosi, depressivi, ecc, purché ovviamente ci sia indicazione per poter fare un percorso di psicoterapia). In alcuni casi, per esempio, oltre a ricevere generalmente trattamenti di tipo farmacologico, per opera di uno psichiatra, anche pazienti affetti da disturbi psicotici potrebbero decidere di farsi seguire in psicoterapia da uno psicologo-psicoterapeuta avente una specifica formazione a riguardo.

Quindi, riassumendo, entrambi, psichiatra e psicologo, raggiunti i dovuti requisiti, possono esercitare la psicoterapia. Il primo può prescrivere anche i farmaci, il secondo no.

Credendo spesso che lo psichiatra si occupi solo delle persone con scarso contatto con la realtà, con problemi mentali gravi, cronici, “gli inguaribili”, alcune persone evitano di andare a chiedergli anche una semplice consulenza per timore di essere ritenute “pazze” dallo psichiatra medesimo, dalla società, da se stesse in primis. Continuano purtroppo a stare male per evitare di sentirsi “troppo malate”. La “paura”, a volte un lieve disprezzo, il rifiuto insomma nei confronti dello psichiatra nasce anche, ma non solo, da un antico pregiudizio collettivo circa la sua figura, che rimanda molto all'immagine spesso consolidata nelle nostre fantasie di un temuto, oppressivo terapeuta operante in grigie e fatiscenti strutture manicomiali del passato.

Ed ecco il paradosso: per evitare di sentirci “pazienti cronici”, si continua a stare male cronicizzando i propri sintomi … Tutto pur di non andare dallo psichiatra.. Ci si rivolge perfino ai neurologi,  specialisti che pur avendo magari imparato con destrezza ad usare gli psicofarmaci, non hanno ricevuto la specifica formazione per occuparsi di diagnosi e di cure psichiatriche, o adeguate conoscenze psicologiche e psicoterapeutiche (al contrario, il neurologo ha studiato per occuparsi di disturbi del Sistema Nervoso Centrale o Periferico, quali epilessia, demenze, emicrania,  ecc).
 
   
       

P e r   C o n t a t t a r m i

 
V i a   G a r i b a l d i   1 6 6   -   4 0 0 3 3   -   C a s a l e c c h i o   d i   R e n o   ( B o l o g n a )

 
Tel: 320-9708133      E-mail: info@psichiatrabologna.it


Chiara Balista
medico chirurgo, psichiatra-psicoterapeuta

P.IVA: 03060921206
Tel: 320-9708133 - E-mail: info@psichiatrabologna.it
Sede 1: Via Garibaldi 166 - 40033 - Casalecchio di
Reno (BO)
Sede 2: Via A. Borghi Mamo 6/A - 40137 - Bologna.
Titolo Professione: Medico chirurgo (laurea conseguita presso l'Università di Bologna il 20/10/1998)
Anno dell'esame di Stato (per conseguire l'abilitazione):  1999 (I sessione). 
Iscritta all'Albo dei Medici Chirurghi di Bologna al num. 13851
dal 13 Luglio 1999.
Diploma di Specialista in Psichiatria (presso l'Università di Parma)
rilasciato il 10/11/2003.
Iscritta all'elenco dei Medici Psicoterapeuti di Bologna dal 10 Giugno 2004. 
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